martedì 17 novembre 2009

La citta' dei neon

I primi negozi cinesi di abbigliamento erano comiciati ad apparire fuori dalla China Town di Via Sarpi verso il 2000. All'inizio nemmeno si notavano. Erano squallidi all'esterno con le loro insegne che mischiavano gli ideogrammi e le lettere latine spesso in blu e verde e con i nomi dei negozi pensati piu' per non destare attenzione dell'Annonaria che per impressionare i clienti.
E poi fu il turno delle insegne al neon dei parrucchieri cinesi e dei loro tagli uomo/donna/cinese a 5 euro. E poi i kebap con i nomi in turco ed a volte in arabo in cui spesso le insegne al neon promettevano esotiche ed unte e bisunte cibarie accanto alla italica pizza al taglio. E poi dovunque i "call center" che con le loro insegne gialle attiravano i clienti con una vasta offerta di servizi; dal noleggio di cammelli per girare comodamente per Milano al completo ultimo modello per l'attentatore islamico, anche disponibile in un vezzosissimo viola petunia. "Almeno si risparmia sull'elettricita' delle insegne e stiamo apposto con il trattato di Kyoto" commento' uno spaesato pensionato di Vighignolo in visita a Milano.
Ma chi ha deciso di trasformare le vie milanesi periferiche in una orrenda e stracciona distesa di brutti negozi con insegne al neon?
Voster semper Voster

4 commenti:

  1. ah, ma non era stato il liberalismo?!

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  2. Anonimo
    nel caso specifico direi piu' lassismo italico, terzomondismo ecclesiastico e social-comunista.
    Un liberalismo di stampo Giolittiano credo lo avrebbe impedito.

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  3. bah tanto milano è sempre stata bruttina...

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  4. Meno male che a nessuno è venuto in mente che se ci fosse stato lui tutto questo non sarebbe successo.
    E i treni...

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